“Allora quando tornate?”
Quante volte mi avete fatto questa domanda!
E vi confesso che non so mai bene che cosa rispondervi e così spesso non vi dico niente, mi limito ad abbozzare un mezzo enigmatico sorriso stile Monna Lisa, per poi affrettarmi a cambiare discorso.
La verità è che questa domanda mi lascia sempre un po’ perplessa.
Quando sono partita per Londra, per il nostro primo espatrio, sia chiaro, non ero completamente contenta, se ci penso ora dopo 13 anni sorrido, ma allora non volevo lasciare i miei riferimenti, il mio lavoro, avevo mille timori.
Ho passato i primi mesi in un controproducente loop emotivo di resistenza, resistevo con forza uguale e contraria a tutto: alla lingua, al cibo, alle persone. Poi finalmente mi sono svegliata una mattina ed ho capito.
Ho capito che quella non era una deviazione momentanea, quella era tutta vita, era un vero e proprio cammino che non prevedeva un’inversione ad U.
Questo forte mutamento e consapevolezza è chiaramente avvenuto in me, ma non negli altri.
“Allora quando tornate a casa?”
Chi ci vede due volte l’anno è normale non abbia idea del nostro percorso di vita, del perché, delle ragioni fondanti delle nostre scelte, che spesso si capiscono più nel “dopo” che nel “durante”. Spesso sono incontri fugaci in cui ascoltiamo quello che della nostra vita voi avete tratto, ma è difficile trovare orecchie veramente interessate alla nostra versione dei fatti.
Capisco anche che questa domanda nasca per alcuni dalla genuina voglia di averci accanto, e ciò è molto dolce e per certi versi altrettanto triste, perchè ci mancate anche voi!
…Però la risposta che forse vorreste sentire non c’è.
Perché il fatto è che noi a casa già ci siamo.
Per quanto difficile l’India possa essere, parlando ovviamente del nostro caso, è comunque casa.
Abbiamo un tetto sulla testa, una routine, una scuola, degli amici.
Un’altra cosa che leggo a volte fra le righe di quella domanda, specie quando non riceve una risposta è:
” Ma allora siete voi che non volete tornare? “.
Il punto fondamentale è che se abbiamo scelto di andare via è perché eravamo mossi da qualcosa che, nel nostro caso, è ancora valido oggi. Quindi non sentiamo la necessità di tornare, ma anche se fosse, non è una decisione che si può prendere a schiocco di dita.
Magari senza nemmeno un lavoro? No, non è così semplice. O almeno per noi non funziona così.
Per muoversi ci devono essere delle condizioni, che non sono solo il posto dove vorremmo vivere o tornare, ci sono delle valutazioni a medio termine da fare sempre e che coinvolgono una famiglia intera.
Ma capisco sia un ragionamento difficile da trasferire e da far capire fino in fondo a chi ha fatto altre esperienze di vita.
“A quando la prossima destinazione?”
Sarebbe una domanda migliore cari amici, perché significherebbe che ci avete capito, che non ci reputate in fuga o in una vacanza perenne. Che non ci vedete come dei pazzi visionari o dei prigionieri viziati. Che avete capito che molto probabilmente continueremo a muoverci ancora fino a che troveremo la tanto decantata Terra Promessa.
Allora li forse pianteremo una tenda con paletti più profondi e se ci riusciremo, wanderlust permettendo, rimarremo lì.
In ogni caso ve lo voglio dire, e questa è una delle poche certezze che ho: se un giorno tornassimo da dove siamo partiti, non saremo più uguali a prima, perché questo viaggiare ci ha cambiati per sempre.
Monica, India
Che bello questo post! Me l’ero perso e sono contenta di averlo di averlo ripescato.
Grazie Laura! Contenta che ti sia piaciuto!
Un luogo come l’India poi cambia profondamente, lo so bene dopo tanti viaggi in quella terra incredibile e un amore sconfinato verso tutte le sue contraddizioni. Sicuramente viverci è un’altra cosa. Ma dico io, che domande assurde fa la gente? 😀
Concordo con tutto quello che dici e non nascondo neanche io la sensazione che spesso la domanda abbia un secondo fine..o cmq un double standard…
E’ ancora piu’ fastidioso pero’ la ormai costante damanda da parte di perfetti sconosciuti “pensate di restare o tornare?”. Mi chiedo:”tornare dove?” a cui di solito aggiungono, vedendo la mia perplessita’, ” dove e’ casa?” se non direttamente ” tornare a casa!”. beh non ho mai saputo bene dove fosse casa ma se intendi (tu dico sconosciuto con cui sono qua a parlare della mia vita personale nonstante non ti vedro’, spero, mai piu’ nella mia vita) quel luogo geografico in cui ti senti accolta, in cui senti di poter essere te stessa e in cui senti che puoi coltivare qualcosa, beh c’e’, non e’ dove sono ora ma non lo sciorinero’ ai quattro venti perche’ non avrai la sensibilita’ di capire che non e’ un posto dove si trova la mia famiglia, non e’ un posto dove ho amici che conosco da quando ero piccola, non e’ un posto dove neanche si parla italiano. Casa e’ il posto dove ho costruito i miei ricordi piu’ felici con la “mia”. E’ un posto puro. Non intaccato, non contaminato. Dove voglio andare nei momenti bui. E non lo rivelero’ a te, sconosciuto.
scusate lo sfogo e i typos!
Bello questo tuo dialogo con lo ‘sconosciuto’ che ci fa il terzo grado! Grazie Emanuela!